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  • Immagine del redattore CET

Disegnare con la luce.

Aggiornamento: 20 apr 2021

Ma come, mentre pedali - e non solo - scatti tante foto, parli di foto, pubblichi foto e non hai ancora scritto un post che parli della “fotografia”?

Grazie Cristina per la domanda!


In effetti scrivere di fotografia sembra quasi una sinestesia: di solito le fotografie si pubblicano, accompagnate al massimo da due righe di spiega e stop.

Poi ci sono i libri più o meno tecnici, da cui partire o approfondire l'argomento.

Adesso invece vorrei cercare di descrivere cos'è per me la fotografia, ovvero in somma sintesi, una mia personalissima visione del mondo. O meglio, il tentativo perenne di avvicinarmi ad essa.


Ma facciamo un passo indietro.

Un Carletto alle prese con i primi scatti...

Fin da piccolo mi affascinava l’idea di congelare una scena di vita con un "click" di un bottone.

E poi c’era la magia della pellicola: si scattava qualche foto, si metteva via la macchina fotografica, la si riprendeva dopo diverso tempo… giorni… settimane… si scattava ancora… e via così finché le esposizioni finivano; si riavvolgeva la pellicola – di solito a mano – e si estraeva il rullino con attenzione. Si portava il cilindrotto dal fotografo e si attendevano diversi giorni prima di avere in mano, finalmente, le 12-24-36 fotografie scattate; insomma, ‘na faticaccia! Ma si imparava a non sprecare gli scatti e ad avere la pazienza di aspettare lo sviluppo.

Non sono mai stato un tecnico e non ho mai imparato a sviluppare – anche se un paio di volte ho aiutato un’amica in camera oscura… e non pensate male ! – quindi mi toccava ogni volta la trafila di cui sopra.

L'Agfa Silette di papà

Dalle prime esperienze con una vecchia AGFA SIlette di mio padre – tutta manuale e da impostare “a occhio" (alla fine si sceglievano sempre le “vie di mezzo”…) sono passato ad una reflex entry-level Canon con cui ho cominciato davvero a sperimentare, grazie all'aiuto dell’esposimetro e dei primi libri su cui imparare i rudimenti.


La mia prima macchina digitale fu una mitica Panasonic FZ1, da ben… 2Mpixel !

Eppure.

Eppure l’ho consumata, poverina. La portavo sempre con me, non solo in vacanza. Le ho letteralmente logorato i comandi e una batteria, ma quando la cambiai, funzionava ancora perfettamente. E nonostante la scarsa risoluzione, i suoi scatti non erano niente male.


Dalla compattona sono passato alla prima Reflex digitale, una mitica Canon 350D, per poi passare ad una 450D e per finire alla mia attuale – e ormai vetusta – 50D.


Quando esco in bici – e non solo - mi porto quasi sempre una compattina, prima una Panasonic – e ci risiamo – ora una Nikon, ‘ché il cellulare è estremamente scomodo in inverno con i guanti… e visto che la luce migliore la trovo all'alba tra novembre e marzo…

E la piccola Panasonic – ora morta, causa uso improprio di uno dei figli… - mi ha pure valso il primo premio in un concorso fotografico. Quando si dice che non è la macchina a fare le foto belle…. Quando si dice… culo!!! 😊

Ecco i tre scatti premiati:

Dopo questo excursus storico, torniamo a noi.


Ma alla fine, la fotografia, cosa mi dà?


Perché spendere tempo e soldi per "fermare attimi di vita"? Spesso per ricordali, visto che la mia – di memoria – è ormai esaurita da anni…

Ma non è quello il punto.

Quando penso a cosa provo dallo scatto, o meglio, da quando “prendo la mira” a quando ho finito con il post-processing, è un susseguirsi di sensazioni diverse.

Intanto la “fisicità” del mezzo che ho in mano: amo quella sensazione di possanza che mi dà la mia 50D, che si traduce in qualità. Grossa, pesante, avvolta dalle dita che toccano la grana ruvida delle plastiche, l’ergonomia dei comandi che trovano spazio sulle sue forme generose. Grossa ma bilanciata anche quando monto obiettivi altrettanto grevi. Ecco perché non mi sono ancora convinto a cambiarla con qualcosa di più comodo e portabile, come le sempre più diffuse e osannate mirrorless.

E infatti quando uso la Nikon P300 mi sembra di tenere in mano un giocattolino estratto da un sacchetto di patatine.


Occhio nel mirino – non uso quasi mai il LiveView – e più o meno automaticamente compongo la scena, secondo i dettami che mentalmente mi sono formato negli anni. Dito sulla rotellina che varia l’apertura del diaframma – scatto quasi sempre in priorità di diaframmi - non prima di aver controllato bilanciamento del bianco, ISO, modalità di esposizione e tutte le solite cosine tipiche di una Reflex.

Sfioro il pulsante di messa a fuoco – eventualmente controllo la profondità di campo con il pulsantino vicino all'innesto dell’obiettivo – e scatto!

L’otturatore sobbalza leggermente e il corpo macchina trasmette le vibrazioni fin sotto i polpastrelli. È una specie di sparo e come per uno sparo fatto bene, prima ho dovuto calcolare tutti i parametri per benino, dopo aver verificato la luce.

La differenza è che una granata è fatta per sfasciare irrimediabilmente qualcosa, mentre uno scatto fotografico fa esattamente l’opposto: conserva per sempre ciò che ha “colpito”.


Magia della fotografia!


Poi c’è tutta la fase di post-processing al computer. Generalmente non amo apportare grandi correzioni o applicare effetti esageratamente artificiali – e non uso software particolarmente sofisticati - ma credo che quasi ogni fotografia giovi di qualche piccolo tocco: un leggero taglio, una spolverata di luminosità, un piccolo incremento di nitidezza. Tocchi leggeri, ma che, insieme, possono fare la differenza tra uno scatto buono e qualcosa che colpisca davvero. Almeno, credo... spero. Certo, di base ci dev'essere una bella inquadratura, un’idea originale, una luce decente: nessun computer “risolve” una brutta fotografia o peggio una fotografia BANALE.


Ecco, ciò che cerco di evitare sono proprio le fotografie banali.

Meglio uno scatto fatto al volo con il cellulare ma che trasmetta qualcosa, che una foto perfettina a 200Mpx ma insipida, trita e ritrita e che non trasmette nulla a chi la osserva.

Ecco, a proposito di banalità: nel mondo “social” in cui viviamo siamo letteralmente inondati da immagini scattate a raffica per lo più attraverso gli onnipresenti smartphone. Spesso, quasi sempre, sono brutte, scontate, banali e inutili.

Se proprio devi postare su FB una foto dello stinco di maiale che ti sei sbafato all’Osteria della Minkia Rossa, cerca almeno di mettere a fuoco il piatto, di comporre decentemente l’immagine, di inserire qualche dettaglio insolito, di evitare mosso e/o sfocato, di rivedere la foto, di dare una ritoccatina e se proprio fa cagare non pubblicarla, ché di foto gastronomiche di qualità più o meno infima è pieno il web…


Ok, non voglio fare l’integralista radical-chic, ma non è necessario pubblicare su faccialibro la serie di 40 foto scattate sullo sdraio da Cattolica beach, con in primo piano piedi e aste di ombrelloni e... mannaggia la pupazza, che ci fosse almeno l’orizzonte dritto una cazzo di volta!


Concludendo, probabilmente la fotografia è la forma d’arte più democratica e accessibile che ci sia: chiunque è in grado di schiacciare un bottone di una macchina fotografica. E a volte anche un bambino può scattare buone foto inconsapevolmente.


Foto scattata "a caso" da mia figlia di 5 anni...

Piuttosto il punto è proprio la consapevolezza di realizzare cioè che si ha in mente mentre si scatta. E per arrivare a ottenere buone foto senza buttare via centinaia di scatti fatti quasi a caso, bisogna “studiare”, letteralmente: prima di tutto il manuale della propria fotocamera, per sfruttarne tutte le caratteristiche; poi farsi "ispirare" dai fotografi più bravi di noi, cercare di capire come hanno fatto ad ottenere certi risultati, leggere manuali, guide…


Ma soprattutto scattare tanto cercando di applicare ciò che si è imparato, facendo propri certi automatismi, facendo pratica con la propria macchina fotografica e con le proprie lenti, per capire sul campo limiti e potenzialità. E poi sperimentare, uscire ogni tanto dal “seminato”, scoprire che non sempre servono soggetti strepitosi per fare buone foto.

Alimentare la propria passione con la curiosità più che con la tecnologia. Usare l’ironia, accostare il “sacro e il profano”… insomma… non dare niente per scontato e non smettere mai di imparare.

...appunto... sacro e profano...

Studiare bene le regole base per poi, ogni tanto, infrangerle.

Cambiare approcci e mezzi: va bene la Reflex o la mirrorless, ma non facciamoci sfuggire delle belle occasioni se in mano abbiamo solo una compattina o l’”odiato” smartphone.


E soprattutto, divertirsi.

Alla fine è pur sempre un hobby, una passione e se ci si prende troppo sul serio, si rischia di stressarsi e di spegnerla.


Buona luce a tutti !

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