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  • Immagine del redattore CET

Spluga (fuga dalla realtà)

Metti un “invito” all’ultimo momento del solito amico.


Metti che stavolta ci provi a chiedere una mezza giornata di libertà da tutto e in cinque minuti capisci che ce la puoi fare.


Metti che il clima è perfetto e finalmente puoi mettere le Mitas (!!) della tua Griso fuori dalle solite strade pezzose e puzzone.

Mettici la compagnia di altri due personaggi da sbarco... ed ecco che alle 15 in punto si parte da Milano alle volte della Valtellina, meta le cascate di Acquafraggia a Prosto.

Come al solito per me, il tempo è tiranno e vorrei essere a casa per la cena... seee... come no...


La prima tratta è la tangenziale ovest di Milano, in cui si scaldano i motori e in cui cerco di capire di che pasta sono gli altri compagni di viaggio: conosco già bene il “gemello diverso” e in parte lo spilungone sulla Tiger 1200, un pochino imprevedibile, mentre l’altro, su una prestante Bobber inglese, è il tipico tipo da... dritto, nel senso che alla prima lunga curva facile facile non accenna a piegare oltre i 2 gradi e chiude il gas... insomma, non proprio uno smanettone, come giustamente ammesso da lui stesso. No problem.


Raggiungiamo la SS36 e quando passiamo l’uscita di “Abbadia Lariana/Mandello del Lario” scocco un bacino dal casco a mamma Guzzi... peccato non poterci fermare per un salutino... ma abbiamo troppo poco tempo.

E allora via, verso il tratto forse più noioso di tutti, con una serie infinita di gallerie, scure e a tratti bagnate, stando attenti ai soliti fenomeni che se le vogliono sparare a 180 all’ora, sfanalando all’impazzata.


Finalmente siamo sulla statale e inizia qualche timida piega: occhio ai velox piazzati un po’ ovunque. Seguiamo tutti la Thuxton verde, munita di navigatore: io mi perderei dopo cinque minuti netti, come in effetti farò al ritorno...

In poco tempo raggiungiamo le cascate, ci fermiamo e scattiamo qualche foto di rito.

E’ già passata più di un’ora, forse un’ora e mezza e il mio compare di merende propone uno Spluga... “tanto sono una trentina di chilometri... checcivuole” ??


Massì, facciamoci ‘sto Spluga!


Il primo tratto è molto bello, curve larghe, buona visibilità e asfalto decente. Io e l’inglesina prendiamo il largo, pur tenendo un ritmo più che prudente. Ogni tanto ci fermiamo per aspettare gli altri, finché mi trovo dietro alla Tiger proprio quando inizia il tratto più tortuoso, con una serie di piccoli tornatini abbastanza impegnativi, soprattutto quelli a destra e soprattutto se la tua moto ha un interasse da transatlantico, un difettino della Griso...

In ogni caso mi accorgo di essere decisamente più veloce dell’enduro stradale che ho davanti, che letteralmente si inchioda a metà tornante...


Man mano che si sale, il paesaggio cambia diventando sempre più spoglio: gli alberi lasciano spazio pian piano ai prati, fino ad una sorta di altopiano a circa 2000mt dove anche il traffico diventa meno intenso e la temperatura scende fino a 13 gradi.

Lasciamo sulla sinistra l’incantevole laghetto di Montespluga e puntiamo decisi alla cima, al passo vero e proprio. Ancora una serie di tornanti incrociando i soliti camper enormi a cui dare per forza strada ed eccoci al passo Spluga: la temperatura scende a 11 gradi e l’altitudine supera i 2100 metri.

Parcheggiamo le moto e ci scattiamo qualche foto più o meno cretina.

Le 17:30 sono già passate e i tre moschettieri, giustamente, si vogliono fare una birra... e io sono sempre più preoccupato per il tempo a disposizione per il ritorno...

Va bhè, ci fermiamo in una baita/bar che dà proprio sul lago e mi prendo una sana cioccolata calda con panna! Neanche a dirlo, gli altri si fanno un tagliere di salumi e una birra: ovviamente mi frego una fetta di salame da pucciare nella cioccolata...

Mi sembra di vivere in una bolla spazio/temporale: lontano da tutto e da tutti, semplicemente a respirare un po’ di aria buona in compagnia di amici e delle amate moto!

Per portarmi avanti imposto google maps per il ritorno e vengo annichilito dalle tre ore e mezza di tempo di percorrenza!!!! Caz... zolina!

Panico: saluto la compagnia e decido di partire in solitaria.

Maledico la mia solita mancanza cronica di tempo e imbocco la discesa: cerco di godermi lo spettacolo che ho davanti agli occhi, il laghetto, reso ancora più bello dal sole basso, il serpentone che si snocciola davanti a me e che, visto dall’altro, mi permette di affrontare i tornanti con molta più facilità, facendo scorrere per bene la guzzona, che sembra godere dell’aria rarefatta e del fresco della montagna, quasi ringraziandomi per la gita fuori porto, una volta tanto!

Incontro qualche sardomobile impedita che procede alla moviola proprio nel tratto più attorcigliato.

La natura meravigliosa che mi scorre attorno mi tranquillizza anche se ormai sono certo di arrivare tardi a casa. Tengo il mio ritmo pennelloso senza esagerare finché mi ritrovo sulla SS36 e le sue maledette gallerie che mi aspettano senza pietà.


In tutto ciò mi sta dando tremendamente fastidio il solito muscoletto vicino alla spalla che mi si infiamma ogni volta che indosso uno zaino per più di un tot di tempo... di tanto in tanto cerco di muovere il braccio sinistro, senza grande sollievo.

Mi fermo due minuti a rabboccare la benzina e riparto, finché alla volta della tangenziale milanese, il navigatore mi fa uscire verso la bergamasca!

Troppo tardi per tornare indietro e allora con l’occhio lungo per scovare gli autovelox – e ne ho trovati parecchi – supero le varie code di auto che incontro.

Il sole è sempre più basso e sono ancora lontanuccio da casa quando sono le 20 passate...


Amen, ormai è fatta.


Ad un certo punto mi ritrovo in zone “conosciute”: da Trezzo d’Adda in poi non ho quasi più bisogno del navigatore e in poco tempo sono a casa, con il sole basso e il trip che segna 20:45.

Avvertita la moglie prima di partire che avrei fatto tardi, non accenno ai motivi e mentre la famiglia è in salotto a guardarsi la TV, trangugio in silenzio e solitudine il riso al Philadelphia che mi trovo pronto in una ciotola.

E mentre mastico davanti ad una bottiglia di Heineken mi “risuonano” i paesaggi montani, l’aria frizzante, le curve una dietro l’altra, il pulsare del bicilindrico, le gomme che scorrono sull’asfalto, le pieghe, le vette, i laghetti... 

Tornerei in sella subito, con la voglia di farmi qualche passo dolomitico, di esplorare luoghi nuovi. Ma non si può. Va bene così. Per un pomeriggio ho avuto il mio momento di libertà motociclistica. 


Al prossimo anno, allora!

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